Domenica 03 Aprile 2016
Oggi a Milano è andata in scena l’ultima di Notre Dame The Paris, l’opera popolare più famosa al mondo… oggi, come tutti i giorni dal 3 marzo, il pubblico applaudiva ad ogni scena… oggi, come TUTTI i giorni dal 3 marzo, c’è stata la standing ovation finale, con tanto di striscioni e cuori su fogli di carta sventolati tra le prime file. Solo l’inizio di questo terzo grande tour che mi ha portato a teatro due volte nel giro di cinque giorni (la prima volta fu però circa 13 anni fa)… ma sapere che questa tappa si è conclusa lascia comunque una strana sensazione di vuoto… ed è “solo” un musical in fin dei conti.
Ma leggendo i commenti delle persone, pieni di ringraziamenti per le emozioni regalate, e ripensando a come in questi giorni non faccio altro che girare su internet tra filmati, foto e interviste, riascoltando e rivedendo le canzoni e gli spezzoni dello spettacolo, mi rendo conto del perché di questa strana sensazione. E la risposta sta in quei grazie di migliaia di persone che, magari senza accorgersene, per due ore e mezza hanno ri-imparato cosa vuol dire emozionarsi; la risposta sta in quel “solo” tra virgolette.
Questo spettacolo ha qualcosa in più: è un’opera d’arte capace di meravigliare ed emozionare, attraverso una strana magia che sembra pervadere ogni sua scena, costume, parola, nota musicale, interprete, ballerino e angolo di scenografia. Ognuno di questi elementi non è magnifico… è sinonimo stesso di magnifico.
Provate a… immaginarvela questa “magia”, questa sorta di aurea – c’è chi la chiama “meraviglia”, quella costante che attraversa la storia dell’uomo fin dagli albori e che la semplicità e forza dell’arte, in tutte le sue forme, ci ha saputo esprimere e regalare con la sua, a volte ancora e per fortuna inspiegabile, capacità di emozionare – che pervade ogni sera palco e platea, mentre vi racconto un po’ dello spettacolo e vi parlo dei miei pensieri e ricordi su di esso.
Uno spettacolo che ti cattura e ti entra dentro la prima volta che lo vedi, senza lasciarti mai più: 13 anni fa ascoltai quelle canzoni per la prima volta, poi mia madre (che mi portò a vederlo dopo esserci stata pochi mesi prima) inevitabilmente comprò il CD… era fan dello spettacolo quanto me e di Cocciante più di me; ascoltai e riascoltai quelle canzoni ma poi il CD finì in un armadio. L’ho tirato fuori prima di tornare a vedere il musical qualche giorno fa, ma non l’ho ascoltato fino al giorno dopo la seconda volta in cui l’ho visto. Terza volta a conti fatti. Ti ho raggiunto mamma! P.s. Mentre scrivo si è gia fatto il 4 Aprile… quindi oggi è anche il tuo compleanno! Auguri Mamma!.
Ebbene, ricordavo ancora dopo così tanti anni tutte le canzoni. Riaffioravano alla memoria così, con la semplicità di qualcosa che ti è entrato dentro lasciando un segno indelebile (peccato se le ricordasse anche la signora dietro di me…).
Allora ero un bambino che si meravigliò a vedere ballerini che danzavano su pareti o a testa in giù appesi a delle campane, gargoyle che uscivano da colonne che si muovevano da sole e personaggi che cantavano appesi a ruote o ruzzolavano giù per le scale. Oggi sono un ragazzo che si è meravigliato come allora e per le stesse cose. Che ne ha capite meglio alcune e intuite altre, cogliendo citazioni, particolari, aspetti che prima non poteva notare ma che hanno solo aumentato la meraviglia, sia che fossero di natura poetica, storica, letteraria, attualitaria o semplicemente scenografica e gestuale: come quel coltello raccolto, o gli effetti di luce a forma di rosoni, oppure ancora i dotti riferimenti contenuti in quelle che io definisco le due “canzoni storico-artistiche”, che ricalcano, appunto, l’aspetto di romanzo storico e saggio artistico dell’opera di Hugo che si affianca a quello di “romanzo” nel senso romantico del termine. Mi riferisco ai brani di apertura dei due atti, “Il tempo delle cattedrali” e “Parlami di Firenze”. Tutto questo infine, senza intaccare minimamente il godimento delle intense scene di pura poesia e delle interpretazioni da pelle d’oca, grazie alle inarrivabili voci, alle coreografie, al palco e, naturalmente, alla storia narrata, anzi cantata. Una storia che inscena l’Amore nelle sue sfaccettature più Belle, quelle tragiche e quindi più vere. Il sentimento in veste sublime, tipico del Romanticismo, elevato e talvolta esasperato; ma in cui chiunque, anche da quaggiù, dalla platea o con il libro tra le mani, può, (non) stranamente, ritrovare qualcosa.
Brividi e poi… beh poi Lola Ponce. Vogliamo parlarne? Non credo ci sia molto da dire. “Bella e brava” è riduttivo. Non puoi non innamoratene. E se non ti conquista appena entra in scena nei panni di Esmeralda con “Da dove vieni bella straniera” e “Zingara”, con la sua voce e i suoi movimenti, o con le sue perfette gambe alla fonte durante “Da bere” e “Bella”, beh se non lo fa lì, lo fa quando canta “Vivere per amare”; è scientificamente impossibile non rimanere folgorati. E poi… quel testo è bellissimo, soprattuto per il messaggio che contiene.
Senza nulla togliere naturalmente agli altri interpreti, soprattutto al cast originale che è ritornato in questa tournée e che, nonostante la bravura di ogni singolo cantante, principale o sostituto, sembra avere qualcosa in più; sarà nel modo di essere entrati nel personaggi e averlo fatto proprio, o sarà semplice affezione da vecchio fan incallito.
Graziano Galatone (Febo) con la sua forza vocale (“Cuore in me”), Lola Ponce con il suo accento che compare e scompare e i suoi sguardi rotti dal pianto, Giò Di Tonno (Quasimodo) con la sua intensità nei gesti e nelle note (“Balla mia Esmeralda”) , Vittorio Matteucci (Frollo) con la sua potenza, durezza, severità e nel contempo (incredibilmente) “dolcezza”, ed infine Matteo Setti (Gringoire) con… beh la voce più bella e sublime, poeta non per niente. Senza dimenticare la magnificenza dei momenti corali e l’adrenalina delle canzoni che coinvolgono Clopin e i clandestini (“Clandestini”, “La corte dei miracoli”, “Liberi”). Per poi concludere con la straordinarietà del corpo di ballo di cui ancora oggi trovo inspiegabili – e così devono rimanere, o si perderebbe parte di quella magia – alcuni momenti delle coreografie e acrobazie (taluni trucchetti ammetto di essermeli rivelati però… e contrariamente a quanto affermato poche parole fa, sono rimasto ancor più meravigliato, perché un conto è capire “come fanno” ed un altro riuscire a non dire più “ma come fanno?!”) e la bravura e genialità dei creatori e delle menti dietro a quest’opera teatrale: Riccardo Cocciante per le musiche e ideatore del tutto insieme a Luc Plamondon, autore dei testi in francese, mentre la versione italiana del libretto è stata curata da Pasquale Panella e la produzione è di David Zard.
Forse anche il fatto che potrebbe essere l’ultima volta in cui Notre Dame va in scena con questo cast… forse anche questo, anzi sicuramente, contribuisce non poco a quella strana sensazione di vuoto di cui vi dicevo prima. E forse anche per questo, credo, cercherò in qualche modo di tornare a vederlo.
Una simbolica ultima volta? Boh… ho solo una voglia matta di rivederlo dal vivo, cantando, applaudendo, alzandomi in piedi, e gustandomelo con la bocca aperta per la meraviglia di 13 anni fa e gli occhi lucidi di 18 giorni fa. O di 13 giorni fa, quando ci sono tornato perché dovevo rivederlo per forza, e altrettanto per forza dovevo farlo vedere ai miei amici. Perché il bello delle cose belle, è poterle condividere con gli altri. E Notre Dame The Paris è proprio una piccola grande cosa Bella.
Grazie di riuscire ad emozionarmi.
#ndpitalia
di Luca Di Bartolo
– le foto che seguono sono state prese in prestito dalla pagina Facebook di ndpitalia Notre Dame de Paris Pagina Ufficiale, a cui si rimanda per i nomi degli autori –
Sezioni: Emozioni, Artistico – Letterario, Musica
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